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THE FLYING BULLS e MAUTHAUSEN KZ, Pasqua in Austria, da Salisburgo all'Inferno

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view post Posted on 18/4/2017, 21:10
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Ero già stato a Dachau, due volte.
Ma non ho ancora visitato Auschwitz o Bergen-Belsen, dove il senso della vita ha trovato il suo capolinea nell’inferno creato dall’uomo.

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Ora ho visitato Mauthausen, con i suoi sotto-campi per lo più smantellati ed il Memorial con cippi, statue e monumenti che un po’ stonano alle porte dell’ingresso principale del Lager.
Monumenti volti più all’ideologia, alla supremazia dei vincitori sui vinti, che al ricordo dei morti, tanti.
Vi sono due monumenti di nazioni non più esistenti: il più grande, anche in altezza, è quello dell’Unione Sovietica che qui a Mauthausen ha pagato un enorme tributo perché gli uomini ed i soldati deportati erano il nemico numero uno da annientare per l’ideologia che rappresentava, drappo rosso di fronte ai sanguinari carnefici.
E vi è anche il monumento della DDR a perenne ricordo della Germania divisa, voluta dagli alleati per depotenziarne il futuro e spartirla tra le potenze vincitrici.

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La chiusura della giornata è stata invece a Salisburgo con un velocissimo tour all’Hangar 7 “casa” del team THE FLYING BULLS, creazione di Red-Bull dove in un avveniristico e moderno hangar sono esposte macchine di cielo e di terra a ridosso della pista principale e con un ristorante stellato in terrazza.
Nulla di più opposto: le urla del silenzio di Mauthausen rimbombano nelle mie orecchie ed i fantasmi frutto della inumana crudeltà nazista ogni tanto compaiono in sogno.
L’Hangar 7 segna un passaggio di 70 anni ma non concede a chi scrive quello svago anelato perché è innegabile... non si può dimenticare.

Due luoghi che più opposti non si poteva trovare, ma anche qui un qualche filo conduttore che li lega nella visita del Sabato Santo oltr'alpe di una “autunnale” Pasqua austriaca, lo colgo.

Lo colgo perché è evidente, almeno uno: il volo è arte, amore per raggiungere l’alto del cielo, volare come gli uccelli tra le nuvole tra le invisibili autostrade celesti e toccare quasi le stelle.
Una sensazione di pace ed immensità pervade la mente degli aviatori.
Ma se vogliamo, non voliamo.
I fantasmi di Mauthausen però, non hanno avuto scelta.
Tra stenti e tormenti indicibili, fiaccati nel fisico e nella mente, stremati da crudeltà senza fine, essi desideravano il cielo, reietti e relitti di un’ideologia e di uno stato che non li voleva, e per questo dovevano andarsene.
Per trovare la pace ed uscire da un mondo che non era più un mondo, per raggiungere i propri cari e gli amici già sterminati dalla bestia che è dentro l’uomo.
Un volo eterno, liberatore.
Non hanno potuto scegliere.
La scelta era della bestia.

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La scala della morte, 186 gradini infernali di altezza ed ampiezza irregolari che dalle cave di pietra dove la bestia faceva lavorare gli sventurati prigionieri, li riportava al loro Lager.
Ma non salivano verso il cielo, salivano verso altre atroci sofferenze.
Se arrivavano vivi al termine della scala.
186 gradini percorsi fianco a fianco, spalla a spalla di altre migliaia di uomini, zavorrati da una pietra di granito sulla schiena.
Chi cadeva, trascinava gli altri sventurati, molti non si rialzavano, stremati dal freddo, dall’alimentazione scarsa, dalle sofferenze che li avevano indeboliti.
I più fortunati attendevano il colpo alla nuca “liberatore” per poter finalmente volare oltre le nuvole e trovare la pace, quella vera ed eterna al cospetto dell’Altissimo.

186 gradini, nemmeno un sassolino vi si trova oggi.
I fantasmi che percorrono queste scale alla ricerca di giustizia trascinano ancora i loro piedi, gradino per gradino.
Anime in pena alla ricerca della pace.
Monito per le generazioni presenti.

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Purtroppo le stesse scene si sono ripetute alla nostra porta di casa, meno di 2 decenni fa.
Si ripetono oggi con crudeltà inaudita.
I giovani di oggi sembrano aver dimenticato: visitare Mauthausen è come andare al Colosseo, turismo.
La gente va nelle baracche, nel Krematorium, nel luogo delle esecuzioni “spicciole”, ma non si sofferma più di tanto nel percorso documentato da immagini, cimeli e carte che testimoniano e rendono ancora attuale il messaggio.
REMEMBER. NEVER FORGET.

Sembra tutto così lontano, la sofferenza è degli altri; la tragedia immane non ci appartiene.
Non capiamo.
O forse siamo, nel nostro profondo, conniventi perché anche noi in un qualche modo detestiamo chi riteniamo “diverso”?

Mauthausen KZ non è stato Auschwitz nei numeri di una crudele contabilità, era nel cuore della Germania Nazista, lontano dalle rotte dei bombardieri alleati, terreno di granito adatto da sventrare per costruire e proteggere le fabbriche che dovevano sostenere l’enorme sforzo bellico del Reich.

Montagne svuotate, fabbriche costruite.
Prigionieri morti, gasati nel trasporto da Mauthausen ai campi satellite ae non erano morti primaz stremati di lavoro, come schiavi condannati ad un destino che non si sono scelti.

Qui a Mauthausen non c’è la famigerata e triste insegna in ferro battuto “Arbeit macht Frei”: Il Lavoro rende Liberi.
Qui si muore di lavoro per scavare nelle montagne e se sopravvivi, muori nelle fabbriche sotterranee di Daimler, Steyr e Messerschmitt.
Quando non servi più o hai fatto qualcosa che non doveva essere visto, qualcuno ha già pianificato come e quando devi essere fatto sparire.

Perché a Mauthausen e nei sotto-campi di Gusen, venivano prodotti gli aerei che avrebbero dovuto rivoluzionare la guerra aerea e risollevare le sorti del Reich.
Qui a Mauthausen veniva prodotto il Messerschmitt Me-262, il caccia a reazione capace di volare a 900 km/h.
Un segreto da custodire molto, molto bene.
L’ho visto a Washington, all’Air and Space Museum, quasi me lo lascio sfuggire nei pochi minuti a disposizione per una visita frettolosa; con già la reflex in borsa, ho dovuto provvedere con altri metodi:

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Insieme al meno noto Arado Ar-234 che volava a “soli” 742 km/h spinto dai propri rivoluzionari motori ed esposto sempre all’Air and Space Museum di Dulles, erano il concentrato finale di tecnologia prodotto dagli scienziati tedeschi e dai tecnici catturati, questi ultimi poi immolati nelle grandi caverne segrete perché non parlassero.

33949742971_15071d00bb_hArado Ar-234 by Gianluca Conversi, su Flickr


Qui vedete l’Ar-234 semi-nascosto da un’ala volante Horten H-IIIf il cui disegno anticipa di molto i più famosi Northrop YB-49, B-2 Spirit ed il futuristico B-21 Raider.

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Ora avete sicuramente compreso che è il Messerchmitt Me-262 il secondo collegamento tra l’intensa ed emotiva mattinata ed il tardo pomeriggio all’Hangar 7 di Red Bull.

Perché dentro alla struttura vi sono esposti aerei, jets e aeroplani a turboelica risalenti alla seconda Guerra Mondiale esposti a fianco dei bolidi di Formula 1.

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L’Hangar 7, l’aerea espositiva, si affaccia sul piazzale privato di fronte all’hangar operativo (Hangar 8) dove trovano alloggio gli aerei più grandi, le officine e gli aerei destinati ad essere preparati per le esibizioni o i voli d’addestramento.
Il superbo Dassault Falcon 900EX rimane invece in parking esterno.

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Mentro ero all’interno dell’area espositiva, è arrivato il bellissimo argenteo B-25 Mitchell seguito da un Alpha Jet in livrea tigrata, poi spinto “a mano” all’interno dell’esposizione, perché tutti gli arei volano, sono mantenuti in condizioni di volo.
Li ho ripresi dall’interno, attraverso le vetrate.

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Gli aerei, soprattutto quelli storici, hanno bisogno di particolare cura e manutenzione per essere portati in cielo, lassù.
Vicino alle nuvole ed alle anime di chi non c’è più, il pilota conduce la sua macchina e si esibisce per chi sta giù, trait-d’union tra l’alto ed il basso.
Come in cielo, così in terra.
Amore per il volo, amore per il prossimo così crudelmente e tragicamente mancato troppe volte, Mauthausen né un frutto tragico.

Architettonicamente poi, tornando a descrivere le strutture, le due zone si completano a vicenda perché l’Hangar-8 adotta lo stile del suo fratello maggiore.
Dettagli come il riscaldamento a pavimento garantiscono condizioni di lavoro perfette.
E' anche una necessità, perché il ripristino di un velivolo storico può richiedere diversi anni e la competenza del personale proveniente da diverse nazioni, unico come la flotta stessa, deve necessariamente incorporare conoscenze di meccanica, motoristica, aerodinamica che solo gli specialisti delle nazioni di origine dei mezzi sono in grado di apportare per mantenere i velivoli d’epoca, insieme a quelli più moderni, in condizioni di volo e adatti ad essere ovviamente esposti.

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Anche a Mauthausen c’erano detenuti provenienti da ogni parte d’Europa.. inevitabile pensarci mentre di corsa, per il consueto poco tempo a disposizione, passo tra gli aerei immobili e silenziosi e scatto fotografie.

Qui alla Red Bull l’internazionalità è una risorsa, a Mauthausen era una colpa.
Delle peggiori, anzi la peggiore.
I sotto-campi Lager II e Lager III, coperti da poche lapidi, hanno nel loro sottosuolo migliaia e migliaia di deportati che riposano finalmente in pace.
I loro corpi non sono stati spostati dopo la chiusura del campo, le loro anime sono in cielo insieme alle ceneri di coloro che sono stati cremati.
Come in cielo, così in terra.
Guardare questi due spazi dove ora c’è prato, si vedono fantasmi inquieti, ed aguzzini che ridono perché giustizia non è stata fatta. Tanti centurioni ripetono le gesta di scherno di duemila anni fa.
Li senti ed un brivido, un lungo brivido percorre la schiena.
La collina di Mauthausen, Golgotha moderno.

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Ma non è finita qui: tra un depliant e l’altro, quasi tra le pieghe delle brochure sparse sul bancone dell’Information Point, vi è qualche carta relativa ad un altro posto vicino al campo centrale, meno noto ma molto molto più sinistro: Gusen.
SANKT GEORGEN AN DER GUSEN per essere precisi.
Le viscere delle colline sono state scavate, 8 chilometri di gallerie perforate a mani nude dai fantasmi di Mauthausen.
Poco più di un buco largo qualche metro nel cemento, nel fianco di una collina un tempo verde, alcuni gradini immersi nel fango che sembrano portare direttamente negli abissi danteschi.
E invece si fermano lì, non si va oltre.
Perché un ordine dall'alto ne impedisce lo scavo.
Quanto basta per andare a reperire sui libri e sul web cosa significa tutto questo.
Non può essere solo il Messerschmitt Me-262, non può essere solamente la produzione di un aereo a non mostrare al pubblico, ai parenti dei fantasmi di Mauthausen di conoscere la verità.
Deve essere qualcosa di più.
Lontani dalle rotte dei bombardieri alleati, qui Hitler pianificava probabilmente qualcosa di grosso, molto grosso.
E leggendo le notizie qualcosa trova conferma.

Da “La Repubblica” ( autore R.Brunelli), 26 gennaio 2016:
Il giallo dell’atomica di Hitler ricomincia qui, nelle gallerie sotterranee del lager di Gusen. A due passi dalle viuzze immerse nel verde che oggi schierano tante incantate villette familiari e dove settant’anni fa i deportati marciavano a migliaia, vestiti di stracci, denutriti, come fossero già morti. Qui, in mezzo ai boschi magici dell’Austria Felix, a un tiro di schioppo dai laghi delle Alpi.

È in questo sistema di tunnel scavato giorno e notte con le proprie mani e a costo della vita di decine di migliaia di prigionieri del Reich che oggi si apre una nuova pagina sul mistero – su cui gli storici indagano dal 1945 – dell'”arma finale” del nazionalsocialismo ormai in rotta.
Quella che avrebbe dovuto salvare la Germania dal disastro incombente e capovolgere i destini ormai segnati della Seconda guerra mondiale.

«Le misurazioni da noi compiute mostrano che i valori di radon presenti nelle gallerie di Gusen sono molto alti», rivela a Repubblica il professor Franz Josef Maringer, dell’Istituto geologico dell’Università di Vienna. Livelli di radioattività tali da rappresentare indizi seri secondo cui in queste gallerie – chiamate in codice “Bergkristall” (cristallo di montagna) e costruite per assemblare i caccia a reazione Messerschmitt – sono stati condotti tra il 1944 e il 1945 esperimenti nucleari su larga scala. Evidenze scientifiche compatibili con uno scenario secondo il quale proprio qui i volenterosi scienziati al servizio del Führer abbiano cercato di realizzare l’ordigno nucleare.

Quel che emerge è una sorta di immenso laboratorio atomico, una vera e propria città sotterranea. Il regista Andreas Sulzer, che da due anni sta lavorando con un team di esperti internazionali ad un documentario su Gusen, afferma di essere entrato in possesso di documenti sui “progetti segreti” avviati in queste gallerie con l’approvazione di Heinrich Himmler, il ministro dell’Interno del Reich e capo delle SS. «Ogni giorno arrivavano qui treni carichi di materiale scientifico», dice Sulzer. Che parla di un viavai «altrimenti inspiegabile» di scienziati e tecnici.

La vicenda comincia nel marzo 2012, quando la società immobiliare proprietaria delle gallerie, la Big, chiama proprio il professor Maringer per un urgente consulto dopo che una misurazione amatoriale nei tunnel aveva mostrato dei valori radioattivi «26 volte superiori alla norma» (2,4 microsievert all’ora).
Il primo responso dello scienziato sembra dare un esito tranquillizzante. «Radiazioni basse, di origine naturale», sintetizza la Big. Che, nondimeno, dispone l’immediata chiusura delle gallerie.

Segue il silenzio. Assoluto.
Eppure la nota firmata da Maringer insieme al collega Andreas Baumgartner apriva scenari inquietanti: «Abbiamo prelevato molti campioni dal terreno. Nelle prossime settimane procederemo ad un’analisi radiometrica di tracce anche minime di radioattività che possono darci informazioni su attività di tecnica nucleare durante la Seconda guerra mondiale».

Sui media austriaci nessuna notizia delle ricerche del professore. Che però oggi conferma le sue misurazioni «più dettagliate». E ribadisce: «Ci sono segni che nel complesso sotterraneo di Gusen si siano svolti esperimenti nucleari da parte dei nazisti». Maringer sottolinea di non poter dare cifre esatte, trattandosi di dati sensibili relativi ad un’indagine estremamente «insidiosa». Ma altre fonti, consultate da Repubblica, parlano di ben 24mila becquerel a metro cubo: 300 becquerel al metro cubo è il limite entro cui si ritiene non vi siano danni per la salute.

Di sicuro, se c’è un segreto, è ben custodito. Oggi – se anche si potessero visitare – solo 1,8 chilometri di gallerie sarebbero percorribili, su 8 complessivi.
Dopo la liberazione i sovietici fecero esplodere alcune parti delle gallerie, poi negli anni passati la Big – subissata di critiche – le ha riempite di calcestruzzo, spendendo fino a 12 milioni di euro: «Rischio di crolli».

Gusen era un sottocampo di Mauthausen, ma da un certo momento in poi la sua estensione è stata anche maggiore di quella del campo principale: contava su due lager (Gusen I e II) e su un immenso sistema di tunnel. I detenuti erano quasi tutti prigionieri politici o di guerra, prevalentemente polacchi, russi, ungheresi, tanti italiani.

In principio era “solo” un campo di lavoro e di annientamento: la pianificazione prevedeva qui l’uccisione sistematica di 25mila persone l’anno, secondo il gelido calcolo che in media un detenuto non sarebbe sopravvissuto più di tre mesi. Poi, il 9 marzo 1944, è iniziato il cantiere per il “Bergkristall”: chi non soccombeva durante la costruzione dei tunnel o per denutrizione o malattia, veniva gasato o fucilato. Le esecuzioni di massa erano la norma. Appena sono arrivati gli americani, dopo aver trovato montagne di corpi ammassati l’uno sull’altro, hanno dato tutte le baracche alle fiamme.
Fuoco purificatore in tutti i sensi: per prima cosa si trattava di scongiurare epidemie.
Non è rimasto niente. Ma la memoria è dura a morire.
Il filo rosso che sembra mettere insieme i pezzi del “mosaico atomico” corrisponde ad un nome: Karl Emil Fiebinger.
Praticamente tutti i progetti sotterranei dei nazisti portano la sua firma. Le gallerie di Ebensee, destinate al collaudo dei missili V2, un’installazione nel Tirolo, il sottosuolo di Gusen e un sistema di tunnel in Turingia.
Quest’ultimo – come si evince da un documento del ‘47 classificato come “confidenziale” dall’intelligence britannica – avrebbe dovuto ospitare nientemeno che il quartier generale sotterraneo di Hitler. E qui entrano di nuovo in scena le ambizioni nucleari del Führer. Ebbene, in Turingia i deportati scavarono dal novembre 1944 all’aprile 1945 ben 25 gallerie ed il capo di questo progetto era Fiebinger.

Lo storico Rainer Karlsch, che al tema ha dedicato un libro nel 2005, sostiene che in questa aerea dal 1944 un gruppo di scienziati guidati dal fisico Kurt Diebner – parallelo al gruppo di ricerca “ufficiale” di Werner Heisenberg – avrebbe messo a punto quella che oggi chiameremmo una “bomba sporca”. I test, dice Karlsch, furono due: uno sull’isola di Rügen, nel Mar Baltico, e una a Ohrdruf, appunto in Turingia.

Lo storico cita dei «testimoni oculari », che qui il 4 marzo 1945 avrebbero visto «un lampo luminoso come centinaia di fulmini» seguito da un’immensa onda d’urto. Fatto sta che Fiebinger nel 1947 fu assunto dal governo degli Stati Uniti: in queste veste contribuì – guarda caso – alla realizzazione di rampe di lancio per missili balistici intercontinentali. A testata nucleare, per intendersi.

Nel 2006 in Turingia fu misurata la radioattività dell’area. I risultati sono controversi. I dati di Maringer fanno invece riemergere un segreto nucleare a lungo dimenticato. Sulzer, il regista, dice anche di avere indagato sull’esperienza dello scienziato Viktor Schauberger, che nel ‘44 prestò – da detenuto – la sua opera in questo sottosuolo: «Schauberger parlava esplicitamente di “distruttori dell’atomo” che avevano lavorato qui nei tunnel». Tutto l’affaire Gusen, afferma Karlsch, «merita ulteriori approfondite ricerche».

Oggi, a un centinaio di metri dall’ingresso della galleria – che è chiuso, sprangato, e sprofonda nella quiete assoluta della campagna austriaca – dei bambini schiamazzano felici in un parco giochi più o meno improvvisato. La vita va avanti, si dice. Ma la memoria pretende ancora risposte. E l’inferno non molla la presa.


Mauthausen KZ e Hangar 7.
La giornata apertasi in deferente silenzio lungo gli ampi spazi del Campo di Concentramento, il martellante “Ma perché tutto questo?”, le domande e l’angoscia che turbano il guidare silente lungo l’autostrada che riporta a Salisburgo e la visita all’Hangar 7 che invece di essere serena e di piacere nell’osservare la bellissima esposizione, è inquieta e pervasa da urla silenziose.

Edited by GIORGIO CASTELLI - 19/4/2017, 13:45
 
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view post Posted on 19/4/2017, 09:11
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Col groppo in gola ti dico solo un sentito grazie.
 
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view post Posted on 19/4/2017, 12:41
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sierraninezero

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Eh si... gran post questo, ammiro un sacco la tua capacità di cogliere i nessi fra molte cose e la capacità di cogliere certi dettagli che solitamente sfuggono a molti.. Bravo Gianlu
 
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view post Posted on 19/4/2017, 16:14
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Non è semplice commentare questo post con parole adeguate....
Cercare un punto di fusione tra una tragedia storica e la tecnologia aviatoria dei giorni nostri è stato rischioso, ma ci sei riuscito con uno stile difficile da eguagliare.
Hai redatto un testo crudo e pungente, che non vuole farci dimenticare gli orrori del passato, ma neanche quanto siamo fortunati a godere delle bellezze tecnologiche del presente.
Un post tosto, come le immagini a corredo. Complimenti.
Grande Gianluca.
 
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view post Posted on 19/4/2017, 21:35
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Complimenti Gianluca e grazie per questo post

Paolo
 
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Bicio77
view post Posted on 21/4/2017, 10:40




Post di straordinaria fattura, come sempre. Sono appassionato di storia e ho letto decine di libri, su questo argomento in post. Sono stato ad Auschwitz-Birkenau e ricordo ogni momento di quel viaggio. Ho seria intenzione di tornarci, anche perché io andai in Gennaio e i -22° hanno precluso un pò. Se vorrai andare, potrei aggregarmi. Complimenti ancora per questo report.
 
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view post Posted on 21/4/2017, 16:49
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Ho aspettato fino al momento in cui sarei stato sicuro di poter leggere quanto hai scritto con tutta tranquillità.
Ora l'ho fatto, e ti faccio i miei complimenti.
Sono argomenti forti, per i quali è difficile mantenere un certo distacco e guardare solo ai fatti.
Anzi, visto il tema, i fatti da soli non contano nulla. Conta quello che ti senti dentro.
Le tue parole hanno mosso qualcosa in tutti noi. Grazie.
 
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view post Posted on 21/4/2017, 18:48
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Complimenti per questo post insolito, toccante ma assolutamente ben scritto e accompagnato da gran belle foto.
Bravo.
Fabrizio
 
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view post Posted on 22/4/2017, 20:55
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Letto e riletto Gian... non saprei come commentare, davvero, mi hai tolto le parole di bocca!
Spettacolare! Bravo!
 
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Oswl
view post Posted on 26/4/2017, 20:38




Bellissimo servizio complimenti sopratutto per i testi
 
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9 replies since 18/4/2017, 21:10   425 views
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